Son passati 20 anni più o meno. Ultimi giorni di scuola, quelli delle interrogazioni finali,
spesso decisive per ottenere magari un voto alto per quelle piccole grandi
soddisfazioni di un giovane studente. Steso sul divano nella mia stanza, con in
lontananza una televisione accesa in salotto e mio padre a vedere quel “ciclismo”
che ha sempre amato. Per me malato di calcio invece, uno sport normale che rispettavo
per la fatica degli atleti, ma che in fondo non mi aveva mai entusiasmato. In
sottofondo una telecronaca sobria, ma che negli ultimi giorni si era
improvvisamente “accesa”, perché c’era
lui, Il pirata. Come non innamorarsi di un personaggio così. Erano i giorni
delle “montagne” delle scalate e nei giorni precedenti l’Italia, il mondo e
il sottoscritto avevano conosciuto quel mingherlino che improvvisamente si
trasformava. La sua non era una sfida con gli inseguitori, ma con se stesso. Si
alzava sui pedali e sembrava dire: “Ora dimostro chi sono”. Quella grinta nel
volto, quell’espressione che da “tranquilla” diventava l’emblema della “fame” e della voglia di vincere, di combattere, di dimostrare che lui era più forte di
quella salita impressionante. Come non immedesimarsi, come non innamorarsi. E
così quel libro tra le mie mani diventava qualcosa di secondario con quella
domanda che diventava sempre più frequente: “Pà a che punto stanno?? E’ iniziata la salita?”.
In attesa di quei 2 minuti di emozione purissima, capaci di far passare tutto
in secondo piano e che oggi rivivo rivedendo un video su youtube o le immagini
che pullulano sui social e sul web. E poi eccolo: “Scatta!”, e noi che ci
avviciniamo al televisore quasi come se volessimo spingerlo o corrergli dietro
come gli spettatori impazziti di entusiasmo. Gli occhi puntati su quella sua
andatura unica, e le labbra che senza nemmeno accorgersene pronunciano un “E’
forte…” fino al traguardo e a quelle braccia aperte. “Posso tornare a studiare
adesso”.
Marco Beltrami
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